In virtù della sua dignità principesca il cardinale può celebrare ovunque al trono. Tale privilegio trova, però, il suo limite nell’Urbe, la città di Roma sede del papato: ivi la serie di casi che possono verificarsi è assai accuratamente regolamentata e rigorosamente ordinata e disciplinata, talché riteniamo utile soffermarci su talune peculiarità.
Anzitutto, il sacro collegio conosce al suo interno una distinzione gerarchica in tre ordini: cardinali vescovi, preti, diaconi. Gli eminentissimi padri del primo ordine hanno i titoli delle storiche sette diocesi suburbicarie (Ostia, Albano, Frascati, Palestrina, Porto-Santa Rufina, Sabina-Poggio Mirteto, Velletri-Segni); i secondi hanno i titoli presbiterali delle chiese dell’Urbe, gli ultimi le diaconie delle medesime. Ciascun cardinale prete nel suo titolo o diacono nella propria diaconia possono erigere il trono, nelle altre chiese di Roma non possono usare il trono, se non per espressa licenza dal sommo pontefice, oppure qualora sia loro ceduto da un altro cardinale il trono della di lui diocesi (ci riferiamo alle citate sedi suburbicarie), titolo o diaconia.
I cardinali preti nel proprio titolo pontificano al modo dei vescovi nelle loro cattedrali con l’esclusione del settimo candeliere e della benedizione con l’indulgenza dopo l’omelia; quando occorresse l’assistenza pontificale, questa viene usualmente compiuta in cappa. Nella loro diaconia, i cardinali diaconi, invece, non possono compiere alcun ufficio d’attribuzione presbiterale, quindi si limitano all’assistenza in cappa e alla fine della messa impartiscono la benedizione. Quando non hanno diritto a erigere il trono, i cardinali nell’Urbe pontificano al faldistorio, sostanzialmente come i vescovi fuori dai confini diocesani.
Sarà non superfluo accennare che cosa si intenda per cappella papale e cappella cardinalizia, nelle quali occasioni il sacro collegio espleta la sua funzione liturgica precipua. La locuzione cappella papale sta ad indicare una solenne funzione, generalmente messa o vespri, che prevede la celebrazione, o l’assistenza del sommo pontefice nella cappella dei palazzi apostolici, oppure nelle basiliche o chiese, con l’intervento del collegio cardinalizio, dei vescovi, dei prelati e quanti a diverso titolo abbiano a partecipare alla cappella stessa.
Per cappelle cardinalizie, invece, si intendono le funzioni pontificali celebrate fuori dalle cappelle palatine cui assista tutto il sacro collegio o un gruppo di cardinali (p.e. i membri di una congregazione), senza che sia necessario l’intervento di vescovi ed altri prelati. Con la medesima denominazione si suole indicare anche la partecipazione dei membri del sacro collegio ai vespri di alcune solennità nelle basiliche patriarcali nelle quali vi è il trono e l’altare papale, dietro invito dei cardinali arcipreti delle medesime.
Per sottolineare lo stretto legame esistente tra le basiliche patriarcali e la persona del sommo pontefice gioverà ricordare che nelle stesse un cardinale, sia pure lo stesso arciprete della basilica, in nessun caso adopera il pastorale (a meno che non sia espressamente richiesto in particolari funzioni indicate dal Pontificale Romanum) e non può incedere benedicendo, né concedere indulgenze.
Le cappelle papali, come si diceva, si possono compiere anche alla presenza del sommo pontefice che assiste rivestito del manto, un piviale ampio nelle forme e con lo strascico che può essere o di colore bianco o di colore rosso, fermato davanti al petto dal formale. La messa è celebrata pontificalmente al faldistorio da un cardinale o da un vescovo con le modalità sopra descritte (senza fare uso della palmatoria) e con alcune peculiarità che derivano dalla assistenza attiva del domnus apostolicus. Questa forma di assistenza è cosiderata dal Nabuco il modello e l’antesignana dell’assistenza al trono in piviale del vescovo, di cui abbiamo scritto, della quale, quest’ultima non sarebbe che un adattamento e un’innovazione del Caeremonialetridentino.
Il papa è assistito al trono dal più anziano dei cardinali dell’ordine dei preti che funge da presbyter assistens e da due cardinali diaconi. Essi compiono i loro uffici rivestiti della cappa e con lo zucchetto essendo le loro berrette cardinalizie custodite dai rispettivi caudatari. L’assistenza come sacri ministri al cardinale o vescovo officiante, è prestata da canonici delle basiliche patriarcali: il canonico di S. Giovanni in Laterano funge da presbyter assistens, quello di S. Pietro funge da diacono e quello di S. Maria Maggiore ministra come suddiaconoquando debbano sedersi durante la messa (es. al Gloria) lo fanno sul gradino dell’altare verso il lato dell’epistola.
Nell’attesa del papa il celebrante siede al faldistorio avendo accanto a sé i sacri ministri in piedi. Il papa giunge parato del manto – indossato nella sala dei paramenti – e cinto della falda, il suo capo è coperto con la mitria. Giunto in presbiterio il papa benedice l’officiante, i suoi ministri e i presenti; levata la mitria dal secondo cardinale diacono (il quale la consegna al decano rotale deputato alla custodia della stessa) si pone in ginocchio e prega per qualche momento. Il papa, una volta levatosi in piedi, principia la messa recitando le preghiere ai piedi dell’altare alternandole con il celebrante che risponde stando alla sinistra del sommo pontefice. Il celebrante prende il manipolo all’ Indulgéntiam e prosegue le orazioni con i suoi sacri ministri, mentre il papa, raggiunto dai cardinali diaconi assistenti, le recita con questi ultimi. Terminate le preghiere ai piedi dell’altare il papa riceve la mitria dal primo cardinale diacono assistente e si porta al trono benedicendo durante il tragitto.
Appena il sommo pontefice si mette a sedere i cantori eseguono il Glória Patridell’introito, a questo punto inizia il rito dell’ “obbedienza”. I cardinali vescovi, seguiti dai cardinali preti e quindi dai cardinali diaconi, muovendosi dal loro posto con le cappe sciolte, si portano in mezzo all’altare ove fanno inchino profondo. Ripetono l’inchino una volta giunti ai piedi del trono, baciano la mano destra al sommo pontefice che la tiene celata sotto i lembi del manto, si congedano salutando nuovamente il papa con un inchino e chinandosi anche ai cardinali diaconi assistenti, quindi scendono per il lato destro dei gradini. Quando tocca prestare obbedienza al cardinale primo prete (che officia come presbyter assistens del papa) questi, anziché tornare con gli altri del suo ordine, si porta alla destra del papa e ministra per l’imposizione dell’incenso. Una volta infuso e benedetto l’incenso il turibolo viene rimesso al diacono che lo recherà al celebrante. Il rito dell’obbedienza prosegue, il primo cardinale prete si reca al suo stallo; all’altare il celebrante effettua l’incensazione more solito mentre i cantori eseguono il Kyrie. Finita l’obbedienza dei cardinali dell’ordine dei preti è la volta dei cardinali dell’ordine diaconale preceduti dai due che fungono da diaconi assistenti al papa, essi sono gli unici a non sciogliere la cappa per compiere tale rito, una volta compiuto ritornano immediatamente ad assistere il sommo pontefice ai suoi lati.
Compiuta anche da tutti i cardinali diaconi l’obbedienza, un cerimoniere accompagna il cardinale prete assistente dal suo stallo ai piedi del trono. Ivi riceve in ginocchio il turibolo e incensa il sommo pontefice con tre tratti doppi; il papa riceve l’incensazione stando seduto con la mitria in capo mentre i cardinali diaconi assistenti gli reggono le fimbrie del manto onde consentirgli di avere agio nel tracciare il segno di croce per benedire il cardinale prete assistente una volta ricevuta la turificazione. I cardinali si dispongono in circolo per assistere il papa durante la lettura dell’introito e la recita del Kyrie e del Gloria. Il papa legge l’introito dal libro rischiarato da una candela ricurva (che sostituisce la palmatoria), essi sono sostenuti da due arcivescovi o vescovi assistenti al soglio. Terminata la recita del Gloria il papa benedice i cardinali che, sciolto il circolo, ritornano ai loro stalli. Il celebrante canta l’orazione – con le modalità proprie della messa pontificale al faldistorio – dal messale sostenuto da un accolito ceroferario; il suddiacono – premessa la genuflessione all’altare e al papa – proclama l’epistola terminata la quale va a baciare il piede al sommo pontefice. Come normalmente avviene alle messe pontificali al faldistorio il suddiacono si porta presso il celebrante per sostenere il libro durante la lettura privata dell’epistola, brani interlezionali e vangelo. Frattanto i cantori danno principio al canto del graduale, mentre il papa legge gli stessi brani dal libro sostenuto dall’assistente al soglio accompagnato da un altro che regge la candela. Il diacono, recato l’evangelario sulla mensa, va a baciare il piede al papa che lo benedice; si reca nuovamente all’altare per recitare il Munda cor meum in ginocchio. Levatosi in piedi si porta ai piedi del trono per chiedere la benedizione al papa avendo il suddiacono alla sua sinistra ed essendo accompagnato dagli accoliti ceroferari e dal turiferario. Diacono e suddiacono con ceroferari e turiferario si dispongono per il canto del vangelo al termine del quale il suddiacono porta a baciare l’inizio del testo al papa. Il papa riceve l’incensazione stando in piedi senza mitria dal cardinale prete assistente. A questo punto ha luogo il sermone, l’oratore è designato a seconda della circostanza. L’oratore bacia il piede al papa e chiede ad esso la benedizione, fa petizione quindi dell’indulgenza con la formula “Indulgéntias Pater Sancte”, il papa comunica il numero dei giorni concessi. L’oratore, salito su un piccolo pulpito, recita in ginocchio l’Ave Maria prima di principiare la lettura del discorso.
Terminato il discorso il diacono ai piedi del trono canta il Confiteor, genuflettendo nel pronuciare le parole “tibi pater” e “te pater”. L’oratore proclama la formula dell’indulgenza, il papa quindi – cantata la formula “Précibus et méritis” – imparte la benedizione.
Il Credo non presenta nello svolgimento cerimoniale vistose differenziazioni rispetto a quanto detto per il Gloria. Il celebrante, lavatesi le mani, riceve la benedizione dal papa e sale all’altare per compiere l’offertorio durante il quale il suddiacono – prima di mettere qualche goccia d’acqua nel calice – stando in ginocchio leve l’ampolla in direzione del sommo pontefice che la benedice. L’incenso è imposto e benedetto dal papa ministrato dal cardinale prete assistente. Incensato l’altare, il diacono – una volta turificato il celebrante – porta il turibolo al trono ai piedi del quale il cardinale prete assistente incensa il papa seduto e coperto con la mitria postagli dal cardinale diacono assistente. Il diacono riceve nuovamente il turibolo e prosegue l’incensazione: turifica il cardinale prete assistente, i due cardinali diaconi assistenti quindi il resto del collegio cardinalizio. Il diacono avrà l’accortezza di trovarsi nel mezzo del presbiterio per chinarsi alle parole “Grátias agámus” del dialogo introduttivo del prefazio. Prosegue l’incensazione dei patriarchi, arcivescovi, vescovi assistenti al soglio e degli altri che presenziano alla cappella.
Appena i cantori intonano il Sanctus, l’incensazione è troncata e i cardinali si saranno portati al trono papale per disporsi in circolo e recitare con il sommo pontefice il Sanctus. Compiuta la recitazione del Sanctus, il papa, col capo coperto con la mitria, si reca con i suoi assistenti in mezzo al presbiterio. Ivi i chierici della cappella hanno posto un faldistorio innanzi il qualc il papa – stando genuflesso e a capo scoperto – assiste alla consacrazione durante la quale non si danno i segnali con il campanello. Terminata l’elevazione, il papa – riprendendo lo zucchetto per mano del cerimoniere e la mitria per mezzo del primo cardinale diacono assistente – fa ritorno al trono. All’ Agnus Dei i cardinali si dispongono nuovamente in circolo ai piedi del trono papale e recitano anche questa parte della messa. Terminato l’Agnus Dei i cardinali genuflettono all’altare e – prendendo congedo dopo aver ricevuto la benedizione del papa – tornano al loro posto.
Il cardinale primo prete assistente, con lo strascico della cappa sciolto, si reca all’altare per porsi in ginocchio sul bordo della predella alla destra del celebrante che dice l’orazione “Dómine Jesu Christe qui dixísti”. Terminata l’orazione si leva, bacia la mensa simultaneamente al celebrante e, da questi, riceve la pace. Il cardinale prete assistente porta la pace al papa e si reca al suo stallo ove è raggiunto dalpresbyter assistens e con esso scambia l’abbraccio di pace. Frattanto i due cardinali diacononi assistenti – premessa genuflessione all’altare – salgono al cospetto del sommo pontefice per ricevere la pace. Il presbyter assistens porta la pace al cardinale decano (o primo dei cardinali vescovi presenti), al secondo dei cardinali preti, al primo dei cardinali diaconi, quindi ai primi dei patriarchi, arcivescovi e vescovi assistenti al soglio. Dà la pace al cerimoniere che lo ha accompagnato indicandogli l’ordine da seguire e fa ritorno all’altare ove trasmette la pace ai sacri ministri. Il cerimoniere offre l’osculum pacis ad altri (p.e. il decano rotale e il primo maestro delle cerimonie) i quali fanno in modo di trasmettere la pace a tutti i partecipanti della cappella. La messa prosegue ordinariamente, dopo l’Ite missa est, il sommo pontefice – avendo innanzi l’uditore rotale crocifero – impartisce la benedizione. Il celebrante principia l’ultimo vangelo e si porta con i suoi ministri in sacrestia a levare i paramenti. Il papa, sceso dal trono, benedice il sacro collegio, prega al faldistorio, quindi sortisce con le stesse modalità con cui aveva fatto ingresso.